Ileana Florescu – “Le stanze del giardino”

Accademia di Francia a Roma – Villa Medici

27 aprile – 27 maggio 2018

 

Se ci si fermi, anche solo per poco tempo, a riflettere sulle potenzialità che la fotografia ha dispiegato, soprattutto a partire dagli anni Sessanta-Settanta, appare evidente che, uscita dal Realismo e dal Naturalismo, la fotografia non si accontenta più di essere copia della realtà, ma si riconosce come prodotto di libera attività della mente in grado di costruire immagini che si estendono oltre l’hic et nunc dello scatto per condurre in territori diversi attingendo a diversi dispositivi linguistici.

Anche senza aver letto gli ormai storici libri di Roland Barthes o quelli meno noti di J. F. Chevrier sullo “specifico” fotografico, non si può non riflettere su queste considerazioni dopo aver visitato una mostra dal titolo suggestivo “Le stanze del giardino” presentata all’Accademia di Francia a Roma – Villa Medici. Programmata dalla direttrice Muriel Mayette-Holtz e curata da Cristiano Leone, è una mostra di cui vale la pena dare notizia anche in tempi successivi alla sua chiusura. Perché ha contribuito a raccontare e valorizzare il patrimonio artistico e culturale dell’Accademia, grazie ad un progetto specifico ispirato al contesto storico e culturale dell’Istituzione. Lo ha realizzato Ileana Florescu, fotografa colta e raffinata che, con la prorompente urgenza della sua arte, ha saputo valorizzare il fascino del luogo e le memorie che esso conserva.

Nata ad Asmara (madre italiana e padre inglese di origine rumena), attualmente vive e lavora a Roma nel suo studio, nell’ex Pastificio Cerere a S. Lorenzo.

Fotografa eclettica oltre che appassionata bibliofila (laureata in filosofia, apprendistato da storica in collaborazione con il prof. Sergio Bertelli), nel corso della sua carriera ha sviluppato originali riflessioni sugli usi dell’immagine fotografica in rapporto con la letteratura, la filosofia, la tradizione delle arti visive.

Per citare solo alcune tra le sue numerose mostre più recenti: Io e Calliope (2012), una foto-biografia letteraria, tradotta in immagini desunte da brani di dialoghi di 12 capolavori internazionali, con la tecnica del fotoromanzo; Libri Proibiti (2015), in cui ha proposto una riflessione significativa sul tema della censura affidando al mare libri inquisiti presentati come corpi oltraggiati, macchiati da un’onta che solo l’acqua riesce a cancellare sciogliendo il torto della censura.

Così accade che, guardando le opere di Ileana, ci si trovi sempre davanti ad una realtà visiva che trascende l’ordinaria visibilità quotidiana. Come nella mostra a Villa Medici. Qui il medium fotografico (317 le foto utilizzate per la composizione di 17 light-box) ha concorso a formare creazioni sorprendenti in cui ricerca metodica e consapevole e immaginazione si fondono. Hanno presentato un mondo che ruota intorno a Ferdinando dei Medici, ai personaggi legati alla sua storia e a quella della Villa in cui risiedette, come cardinale, per 10 anni (1577-87): al pittore Iacopo Zucchi, uno dei più importanti rappresentanti del tardo Manierismo, al botanico Giuseppe Casabona, prefetto dell’Orto pisano, alla nobildonna Clelia Farnese, figlia naturale del cardinale Alessandro Farnese.

Un mondo contenuto nello spazio fisico del giardino, di griglie che riproducono planimetrie di aiuole di 17 giardini, tratti dal “Libro di compartimenti di Giardini” del Casabona. Giardini reali e insieme fantastici, ambiguamente sospesi tra il fatto e l’artificio, tra illusionismo e realtà. Contenitori di incredibili varietà di fiori che nascondono o da cui emergono volti o profili umani, statue singole o gruppi statuari (La stanza di Atena, Statua di Apollo con erma). In un susseguirsi di cerchi, di triangoli, evocano la passione per le scienze naturali di Ferdinando, personaggio chiave della mostra, il suo interesse per un raffinato collezionismo di opere d’arte.

Gioielli, pietre preziose, frammenti di stoffe e di arazzi, particolari che si richiamano alle cronache del tempo, Giardini e maldicenze, alle pasquinate, Il medico cavalca la mula farnese, rinviano alla vita sociale e culturale, al gusto e alla sfarzosità dell’epoca, in una fastosa messa in scena in cui sono i dettagli che costruiscono l’insieme.

Sembrano raffinate pitture per il gioco sapiente di luci e colori, le inquadrature, il punto di vista. Come i ritratti che l’artista ha rielaborato richiamandosi alle opere di Zucchi. Comunicativo di una visione vincente quello del cardinale Ferdinando, Maiestate tantum, una figura che si fonde con il rosso dei petali dell’ibisco; di segno opposto quello di Clelia, Terrena dea, reso nell’alfabeto cifrato di un volto dai tratti non ugualmente riconoscibili (forse il riferimento alla personalità difficilmente decifrabile di questa donna: forse l’amante di Ferdinando, forse solo una donna vittima delle rivalità famigliari Medici-Farnese). Un viso che ritorna, algido e bello, nella Venere Cesarini, la scultura del Giambologna collocata in uno spazio marino davanti ad un enorme corallo rosso, Il Medico cavalca la mula Farnese: una straordinaria amalgama di forme e riferimenti a La pesca dei coralli di Zucchi, agli artisti, alle opere, alle “storie” che circolavano intorno alla bella donna.

Sono fotografie-storie, come le ha definite Cristiano Leone in catalogo. Tante quante le immagini che si presentano agli occhi per poi intessersi in storie e storie di altre storie e ancora storie.

Come è accaduto in altre mostre, ancora una volta l’artista ha in questa presentato un lavoro suggestivo che provoca emozioni, ma che pur suggerisce “altro” dalla pura visione. A valutarne meglio il senso aiutano i testi contenuti nel catalogo, sontuoso per la ricchezza delle immagini, utile per la chiara lettura interpretativa delle opere presentate.

 

 

Jolanda Leccese