“LANDAI” Poesie brevi per la libertà delle donne

A cura di: Vittoria Ravagli, Antonella Barina, Chicca Morone

                                                                                                            (NEOS Edizioni, 2019)  € 14,00

pubblicato su Leggere-Donna m° 186

Landai: furore di saetta

                un istante di serpente splendente

                            Hilda Balbìn Alcòer (Perù)

I landai (landays in inglese) sono una forma di poesia breve, popolare e antica, nata in Afghanistan. Le donne pashtun li utilizzavano per cantare momenti ludici, quando andavano al fiume per prendere l’acqua e fare il bucato, momenti di languore quando si invocava l’amore e la libertà per seguire l’amato, ma anche per denunciare violenze e soprusi.

In lingua pashtun, landai significa “piccolo serpente velenoso”. Sono formati da un distico: nove sillabe il primo verso, tredici il secondo. Ma non vi è rigidità nel comporre.

Micidiali, come il morso di un serpente velenoso sono infatti i landai, diretti, sboccati, arrabbiati. Vanno dritti al cuore della questione che affrontano. Rigorosamente anonimi, appartengono alle donne, come afferma la poeta Safia Siqqidi. Gli uomini possono inventarli o recitarli, ma quasi esclusivamente hanno per voce narrante le donne. Donne afgane sottoposte a violenza, un fatto di inciviltà insopportabile, frutto della volontà cieca dell’uomo che vuole sopprimere la voce delle donne e la loro partecipazione alla vita attiva e alle decisioni comuni.

Come è successo a Nadia Anyuman, morta del 2005 per il brutale pestaggio di suo marito perché aveva avuto la colpa di pubblicare le sue poesie. O a Zarmina, che aveva osato mettersi in contatto radio con l’associazione Mirman Baheer per leggere le sue poesie. Scoperta e picchiata dai fratelli, si diede fuoco e morì all’ospedale di Kandahar. Aveva solo 17 anni. Ma ce ne sono centinaia come lei. La prepotenza e i maltrattamenti, la chiusura alla cultura e a ogni forma di studio non hanno, però, interrotto la lotta, soprattutto delle ragazze, che continua grazie all’Associazione Mirman Baheer (Kabul) e che ha come obiettivo quella di raccogliere i landai delle donne afgane.

“Mai testi tanto brevi hanno rivelato così tanto in relazione alla condizione disumana delle donne all’interno dell’Islam. Così scrive Fernanda Ferraresso che ha avuto il merito di tradurre un testo, edito in lingua spagnola, scritto dall’afgana Sayd Bahaudìn, ricco di esempi di landai.

Da allora l’interesse non è mai cessato. Alla pubblicazione dei testi apparsi sul blog Cartesensibili, è seguita una proposta presentata da Marco Ribani: adottare i landai come arma internazionale di denuncia delle donne contro la società maschilista. Così è accaduto che poete di molte latitudini, dall’Italia, dal Brasile, da molti altri paesi dell’America di lingua spagnola, si sono identificate nella lotta contro la sottomissione e i maltrattamenti, non solo di donne afgane ma anche di donne in generale, usando “un’arma letale a basso costo, ma virulenta”: il landai.

A testimonianza di questa sorellanza, di questa condivisione ad ampio raggio, ecco un piccolo libro, una sorpresa per molti. E’ un libro curato da tre “magnifiche” donne e poete, promotrici di numerosi incontri culturali e attivamente impegnate nel sociale: Antonella Barina, drammaturga e giornalista, Chicca Morone, presidente dell’associazione Il Mondo delle Idee, Vittoria Ravagli, del gruppo Gimbutas.

Un libro che restituisce voce a chi non viene cantato: a Lea Garofalo e alla figlia Denise, a Laura Prati, sindaca di Cardano al Campo, alle tante donne uccise dagli uomini che dicevano di amarle, alle ragazze del Cairo stuprate in piazza Thair, a quelle vittime di guerra della Bosnia, alle migranti, clandestine sul mare. “Cantare chi non viene cantato” significa portare chi legge dentro le emozioni, annullando la freddezza dei comunicati stampa che la cronaca ci presenta ogni giorno. Significa rivelare presenze a tratti sussurrate nello stanco accoramento di una fine non voluta “non esiste un domani su/questa clessidra che scandisce orrori”; nel desiderio di non cadere nell’oblio “che scenda su di me il silenzio, non l’oblio/che eterna gridi la memoria”. Sono presenze spesso affilate nel sarcasmo irridente “Sull’altare del pene celebrano/il corpo seminudo di un dio estraneo”; “E’ stato un incidente, dici,/scusa se mi trovo tra il tuo pugno e il vuoto”; ma anche reclamate con la grandiosità dello sdegno, “Tutte le mie cicatrici/gridano il tuo nome da ogni specchio”; dell’orgoglio non domato “Voglio decidere la mia vita/toglimi le mani dalla gola pulita”.

Ecco, chi leggerà questo libro troverà una selezione ampia intensa e spesso dolorosa di parole, emozioni, denunce nelle quali è impossibile non essere coinvolti, non desiderare di condividerle con altri, in tanti “altrove” dove potrà giungere.

A me è accaduto di conoscerlo grazie alla segnalazione di Maria Grazia, una cara e sensibile amica che ha partecipato ad una lettura collettiva organizzata a Torino, sulla scalinata delle Gran Madre. “Un vero e proprio canto alla vita – per citare Chicca Morone, che è stata la promotrice di questa iniziativa – una invocazione al divino, alla Madre di tutte le donne, affinché il divino soffi su di noi tutti il reciproco rispetto tra i generi”.

                                                                                                                     Jolanda Leccese