Luccichii

LUCCICHII

 Pittrici salernitane

 degli anni Trenta (1927-1941)

Salerno 4 Aprile-2 Giugno 2008

 

Quando l’abbiamo incontrata, a Salerno, l’anno scorso, in occasione della mostra “Chi l’ha visto?”, Matilde Romito, dirigente del Settore Beni Culturali – Musei e Biblioteche della Provincia di Salerno, ci aveva confidato che stava svolgendo ricerche sulle opere di pittrici nate a Salerno, o che, comunque, avevano operato nella città intorno agli anni Trenta del secolo scorso.

Una ricerca che è diventata un’indagine investigativa a tutto campo e che si è conclusa con la realizzazione di una mostra, attualmente in corso, a Salerno, nelle sale dello storico Palazzo Pinto, in via Mercanti 63.

Non avevamo dubbi sulla qualità e soprattutto sugli esiti del lavoro che la signora Romito stava svolgendo. Insegnante di Museologia e Museografia, dal 1998, presso l’Università di Salerno, organizzatrice di campagne di scavo, di mostre (ricordiamo tra tutte “Eros, Himeros e Pothos” del 2006 a Villa Guariglia in Raito di Vietri), Matilde Romito è studiosa di grande rilievo ma è, soprattutto, una donna energica e volitiva, pronta a superare, nel suo lavoro, difficoltà di ogni genere.

“Vorrei accennare alla gioia provata man mano che scoprivo i dipinti di un’artista sconosciuta o inedita. Una gioia spesso accresciuta dalla conoscenza dei discendenti che mi hanno aiutato con i  loro aneddoti e “cunti”, accompagnati da gesti ed espressioni e modi che per una specie di magnetismo genetico mi hanno consentito di vedere vivere queste loro ave, di vederle muovere nelle stesse case in cui mi trovavo in visita, e, perfino di sentirne le voci”.

Ci sembrano essere queste affermazioni, che la studiosa cita facendo sue quelle della critica d’arte Rosa Mastrandrea, le più adatte ad evidenziare l’entusiasmo, l’impegno profuso in questa iniziativa che ha già avuto una eco notevole.

Non si tratta, lo ribadisce opportunamente la studiosa nel catalogo da lei interamente curato, di presentare rivendicazioni di diritti negati né “di compilare un censimento miserabilistico a metà strada tra dato antropologico e romanzeria” ma di dare visibilità ad opere che giacevano dimenticate come reperti archeologici, di far conoscere al grande pubblico una storia sommersa.

Una storia che la curatrice racconta in modo puntuale e rigoroso, avvalendosi di documenti, spesso inediti, custoditi negli Archivi pubblici, nelle case di privati, servendosi di notizie desunte dalle cronache d’arte locali, nazionali e internazionali.

Interessante l’intreccio continuo tra le notizie sulla vita e quelle relative all’operatività artistica di ciascuna pittrice. Perché, nelle storie delle donne artiste, “carriere e biografie hanno confini molto labili che spesso si sovrappongono e si confondono sicché arte e vita appaiono intrecciate in modo molto più stretto che nelle storie degli artisti maschi”.

Luccichii” è il titolo della mostra, una parola mutuata da un’opera della pittrice Olga Schiavo, scelta non a caso per sottolineare “l’aspirazione, spesso raggiunta dalle pittrici, alla luce, ma volontariamente oscurata da una storia del dipingere ancora troppo maschile per emergere completamente”.

Sono venti le pittrici presentate: dalla più anziana, Flaminia Bosco, nata nel 1864, alle più giovani, Anna Maglietta e Milla Pasca, entrambe del 1916. Ben duecentocinquanta i “pezzi” esposti, tra quadri, manifesti, cartoline, sculture, ceramiche dipinte, xilografie. Ci raccontano l’iter umano ed artistico di pittrici coinvolte, a Salerno, nelle Mostre d’Arte Collettive degli anni Trenta. Pittrici che non temono di mettersi in gioco accanto ai pittori, che accettano di essere sottoposte ad un giudizio di valori di “merito”, sulla base di un confronto paritario al di là della galanteria indulgente e benevola.

Ritratti, paesaggi, nature morte, scene di interni; sono queste le tematiche ricorrenti, in linea con quelle delle altre pittrici italiane della stessa epoca (pensiamo a Katy Castellucci, a Pasquarosa Marcelli Bertoletti, a Daphne Maugham Casorati, per fare solo qualche esempio).

Possono apparire soggetti inattuali in un mondo come il nostro che vive nel contatto costante con il nuovo e lo sconosciuto, ma possono anche offrirsi come un antidoto desiderabile a ciò che non entra negli affetti e in quelle abitudini in cui corriamo a ritemprarci.

Interessanti i “paesaggi locali”: gli scenari incantevoli di Vietri sul Mare che Adriana Tajani riprende più volte, lungo la costa, sulle strade di andata e ritorno dalla spiaggia; Villa Guariglia di Raito di Vietri, che Giovanna Giordano rappresenta nella sua classica struttura che si staglia rosea, con i suoi bianchi degradanti terrazzi, sullo sfondo scuro della montagna.

E se nelle “nature morte” spiccano l’incredibile “Cesto d’uva” di Flaminia Bosco, le “Ortensie” di Olga Napoli, sono Anna Maria Caterina, Annunziata Panza, la lucana Milla Pasca a riempirci gli occhi con le felici cromie delle pesche, delle rose, delle margherite, delle dalie, del glicine, nei loro colori, ora morbidi, ora squillanti. Vita spezzata troppo presto quella di Anna Maria Caterina, morta a soli quarantanove anni, o di Olga Napoli, finita a cinquantadue anni.

Molte le scene cosiddette di “interni”: atmosfere immobili, spazi conclusi, come negli interni di Anna Maglietta, di Milla Pasca, illuminati dalla luce di una lampada o da quella filtrata e riflessa che si insinua da finestre più o meno aperte, che sembrano evocare infinite ore di noia, assenze di contatti con un “fuori” dove pulsa la vita.

Luoghi in cui le donne fanciulle ritratte sono colte in momenti di lettura, di riflessione, di introspezione come in “Ritratto della sorella Italia” di Annunziata Panza; di malinconia, come la bellissima figura di “Riposo” di Olga Schiavo, scelta per la copertina del catalogo; un olio su tavola che sembra esprimere, nella staticità malinconica della fanciulla ritratta, una profonda solitudine interiore.

Interessante la sezione dedicata alle “ceramiche dipinte” in cui spiccano mattonelle e pannelli di Olga Schiavo, artista polivalente, pittrice, musicista di talento che fu apprezzata anche all’estero, nonché quella delle sculture e della grafica dedicata ad Adriana Tajani.

Una vera scoperta quella di Adriana Tajani, classe 1915, allieva della scultrice svizzera Rosli Koch, tuttora vivente a Bari dove ha ripreso la sua attività di pittrice intorno al 1986. È presente in mostra con dodici xilografie che illustrano i “Fioretti di San Francesco”, ottenute con una tecnica che procede di getto nell’intaglio, senza servirsi dello schizzo su carta.

La xilografia: una tecnica ostica, antica, amata per i suoi segni scarni e rigorosi, da Kandinsky, dagli artisti della Brücke, diventa, nella nostra artista, occasione per una narrazione d’ispirazione popolare, ingenua e fresca, che ricorda molto da vicino i lubki dei cantastorie russi, amati e riprodotti più volte da Natalia Gončarova nei suoi famosi almanacchi futuristi.

Ci auguriamo che questo evento possa essere considerato un approccio per future ricerche che permettano di “scoprire” altre pittrici ingiustamente dimenticate attraverso opportuni percorsi di lettura come quello che ci è stato fornito in questa interessante mostra.

Jolanda Leccese