Una parentesi luminosa

UNA PARENTESI LUMINOSA

L’AMORE SEGRETO FRA UMERTO BOCCIONI E VITTORIA COLONNA

ADELPHI 2008, pp.168, € 18,00

 

Ricordi, trascorsi, memorie: riscoprire e far emergere dal passato storie e volti,  più o meno volontariamente messi da parte, è una necessità che ritorna in opere di molti autori, sia che parlino di sé sia che offrano al lettore vicende altrui.

È il passato che ispira il bel libro che Marella Caracciolo ha dato di recente alle stampe: il passato di una donna, la storia della principessa Vittoria Colonna, non per reinventarla, per pura illazione o fantasia ma attenendosi a carteggi e documenti da lei diligentemente riordinati in un lungo lavoro di ricerca. “Il materiale cartaceo lasciato dalla principessa -scrive nell’introduzione l’autrice- era imponente. C’era, ad esempio, un lungo manoscritto in cui Vittoria ripercorre la sua vita dopo la grande guerra. C’erano numerosi inviti, come quello spedito per conto di Edoardo VII re d’Inghilterra. E poi ancora: inviti a teatro, a balli, a ricevimenti al Quirinale dove Vittoria era dama di corte presso la regina Elena. C’erano, soprattutto le lettere che Vittoria aveva scritto a Leone durante venti anni di matrimonio. Migliaia di lettere…Infine, ecco sbucare un gruppo di ventuno lettere, un pacchetto orfano e come separato dal resto. Era il carteggio Boccioni-Colonna mi è parso subito di estremo interesse”.

In un pacchetto di lettere d’amore si può trovare solo un elenco di sentimenti mummificati, inutile come uno scontrino di un negozio di alimentari, ma si può anche trovare l’anima di chi le ha scritte, l’anima che si schiude nella sua essenza. E Mariella Caracciolo ha sicuramente provato questa sensazione, accompagnata da chissà quante esclamazioni di meraviglia, per poi sentire il desiderio di inoltrarsi nei retroscena biografici e psicologici di personalità spiritualmente e affettivamente complesse, di far conoscere testimonianze fuori dalle strade battute.

Calandosi, dunque, in questo materiale, in queste “montagne di carte e di inchiostro”, la scrittrice si fa voce narrante, in grado di transitare continuamente tra realtà interiori, orizzonti soggettivi espressi nelle lettere e il ritmo esterno degli avvenimenti. Una prospettiva fluida che le consente di “creare” una storia che si legge come un romanzo, grazie ad un abile incastro di tempi, ad un impianto narrativo che procede secondo modalità ben collaudate dalla tradizione.

Una parentesi luminosa”, un titolo intrigante che continua e si completa nel sottotitolo “L’amore segreto fra Umberto Boccioni e Vittoria Colonna”, è, certamente, la soglia per entrare nel testo, per cogliere il cuore della storia, il tema principale che è appunto l’amore segreto tra i due protagonisti. Ma il libro non è solo la storia di due destini che si incrociano, per poi separarsi per sempre, una storia in cui si gioca una partita che può essere di tutti,tra vocazione e destino, tra progetto e realizzazione; il libro è molto di più.

Porta con sé il respiro di un mondo scomparso, il fascino di quel tempo mitico che fu la Belle Epoque, la rievocazione di una società che procede con ottimismo, fra gli entusiasmi delle avanguardie e il fervore delle invenzione tecnologiche, verso un futuro che sarà interrotto dal rombo dei cannoni della prima guerra mondiale.

“È la mattina del 7 giugno 1916. L’estate, in quel secondo anno di guerra, sembrava non voler proprio arrivare…Quel giorno Vittoria, approdata da pochi giorni sulla piccola Isola di San Giovanni sul Lago Maggiore, aspetta una visita speciale: l’artista Umberto Boccioni, conosciuto la vigilia a Villa San Remigio, a Pallanza, in casa dei suoi vicini Silvio e Sofia della Valle di Casanova”.

Siamo entrati in medias res, in quello che sarà l’inizio di una relazione vitale, che illuminerà di luce nuova la parabola umana dei due protagonisti “Un intervallo luminoso”, così definirà Vittoria quest’amore inaspettato, brevissimo, sbocciato nel verde dell’Isolino. Sarà, infatti, la loro, una storia d’amore che si consuma nell’arco di un tempo brevissimo, nell’incantevole scenario dell’isola di San Giovanni, la più piccola delle Borromee sul lago Maggiore, l’Isolino, appunto.

L’Isolino che Vittoria chiama “il mio regno privato”, con la sua struttura seicentesca, con il terrazzo fiorito di rose inglesi, il pensatoio a strapiombo sul lago, con la panchina immersa tra edere e cespugli e l’esplosiva fioritura delle ortensie dai grandi fiori azzurri e bianchi. Fitto, misterioso, insondabile, l’Isolino è la realizzazione cromatica e variopinta del bisogno di solitudine di Vittoria,  il territorio remoto, fatalmente destinato ad accogliere l’irruzione del caso, dell’imprevisto e dell’imprevedibile.

Quando incontra il pittore, Vittoria ha trentacinque anni (è nata a Londra nel 1880). È una donna bella, con i “capelli scuri tagliati a caschetto, secondo la moda di Parigi, con il viso dai tratti decisi e dai grandi occhi castani, malinconici”. Personaggio di spicco dell’aristocrazia romana, nonché di quello che chiameremmo il jet set internazionale, è sposata con Leone Caetani, principe di Teano; un matrimonio che si trascina nel torpore dell’abitudine, nei riti ripetuti di lettere scritte ogni giorno, senza gioie e senza emozioni (quattro o cinque anniversari festeggiati insieme in quindici anni di matrimonio). “Nonostante quel ponte di lettere che li univa, da anni passavano più tempo separati che sotto lo stesso tetto”.

Personaggio inquieto, Vittoria, ha vissuto sino ad ora come divisa tra due poli: vita domestica e indipendenza, radici familiari e libertà, aspirazione intensa a stabilire legami e solitudine di chi si sente estraneo “Voglimi bene perché ne ho bisogno” aveva scritto al marito qualche settimana prima di incontrare Boccioni “sono la persona più sola di questo mondo”.

Le è piaciuto subito quel ragazzo scuro e sottile, di un paio d’anni più giovane di lei. Lo sguardo curioso, sensibile, e il sorriso pronto ad aprirsi in una risata ironica e contagiosa, l’hanno piacevolmente colpita. Affascina tutti, Boccioni, con il suo umorismo, la sua eloquenza, il suo spirito.

È stato, insieme a Russolo, Carrà, Marinetti, autore del Manifesto tecnico della pittura futurista, sempre presente alle mostre del movimento, in Italia e all’estero, è pittore affermato eppure sta vivendo una crisi che è insieme esistenziale ed artistica, “vi ho incontrata in un momento di crisi nei metodi, negli amici, in tutto”. Il riflesso di questa sua inquietudine si legge nell’ultimo diario di guerra, scritto tra l’agosto e il novembre del 1915, nelle lettere ad amici e parenti, ma sembra placarsi durante il soggiorno sul lago, dopo l’incontro con Vittoria.

Sarà proprio durante il soggiorno sul lago che Boccioni dipingerà un grande quadro, il suo ultimo dipinto importante (si trova oggi presso la Galleria d’Arte Moderna, a Roma), il ritratto dell’amico e musicista Ferruccio Busoni, ospite, come lui, nella villa dei Casanova, “un ritratto pervaso di felicità”.

È un uomo felice quello che scrive a Vittoria, negli intervalli che lo costringono a lasciare l’Isolino e a rientrare, al 29° artiglieria, nella caserma di Verona. Un uomo abitato da una passione vissuta con esaltato trasporto vitalistico “Io qui trabocco d’amore per te”, ma anche in grado di stemperarsi in una sottile tenerezza, fino a sconfinare nella devozione assoluta.

È singolare che termini quasi ogni sua lettera con formule seducenti (il bacio delle mani, l’atto dell’inginocchiarsi) che rimandano ad una spiritualità che oggi, forse, farebbe sorridere. “Tu riempi il mio spirito come i religiosi si sentono pieni dello spirito di Dio”.

È un carteggio di rara intensità  umana e di una discrezione assoluta quello che Marella Caracciolo ci presenta, attenta, soprattutto, a quella verità obliqua che sta tra la mente e il cuore di Vittoria, tra il suo senso fortemente radicato della forma e delle convenzioni e l’insorgere di un sentimento che trapassa, fatalmente, da un’intesa gentile e profonda ad una vitale, appassionata partecipazione, fino al vagheggiamento di un futuro in cui fare “grandi cose” insieme.

Boccioni morirà, per una caduta da cavallo, il 16 agosto del 1916. Vittoria ne avrà notizia solo due giorni dopo. L’anno successivo, Leone Caetani interrompe definitivamente il suo rapporto con la moglie e sceglie di ricostruirsi una nuova vita, con Ofelia Fabiani, a Vernon, nel lontano British Columbia, in Canada.

Ma il libro, lo abbiamo detto all’inizio, non è solo la storia dell’amore tra Vittoria Colonna e Umberto Boccioni.

Grazie ad un abile incastro di tempi e di ricostruzioni, l’autrice irrobustisce la trama con ampie digressioni che abbracciano intere vite, coniugate e intrecciate tra loro nella scrittura come fu nella loro esistenza. Assume, così, un ampio rilievo, accanto al binomio privilegiato Colonna-Boccioni,  la figura di Leone Caetani, marito di Vittoria, principe di Teano, quindicesimo duca di Sermoneta, uomo di grande cultura, studioso di storia orientale (a lui è dedicata una Fondazione, all’Accademia dei Lincei, nel settecentesco Palazzo Corsini, a Roma).

Digressioni che rievocano fatti, avvenimenti dell’epoca, che ripercorrono relazioni, attriti, divergenze tra famiglie di antiche dinastie, che abbracciano, in realtà svariate, vite di personaggi più o meno noti, alcuni di notevole rilievo: come Marguerite Chapin, cognata di Vittoria, moglie di Roffredo Caetani che, negli anni del secondo dopoguerra dette vita, insieme all’allora giovanissimo Giorgio Bassani, alla rivista “Botteghe oscure”, o come Sveva Caetani, la figlia di Leone, che sarà pittrice apprezzata nel British Columbia e che trasformerà l’ultima dimora del duca di Sermoneta in un centro culturale in cui vengono ospitati giovani artisti.

Una scrittura che fila leggera i suoi contenuti ricostruendo preziose descrizioni di ambienti, evocando atmosfere che sembrano sottratte, come per incantesimo, a quadri impressionisti, addentrandosi negli spazi privati di palazzi nobiliari,

Palazzo Colonna, il palazzo di famiglia di Vittoria, “una roccaforte costruita come un immenso otto attorno a due grandi cortili”, il “nero” Palazzo Caetani, dove Vittoria non vive a suo agio, una struttura tipicamente cinquecentesca che sembra più una piccola fortezza che una dimora di famiglia,  Palazzo Orsini, eretto dal Peruzzi sugli imponenti resti del teatro di Marcello, sono gli scenari che si coniugano al vissuto esistenziale di Vittoria, dall’infanzia, alla giovinezza, alla maturità, come quelle fotografie in bianco e nero di cui è corredato il libro e che offrono il “valore aggiunto” delle immagini visive.

Alcune di queste, scattate a Palazzo Orsini, ritraggono Vittoria con il viso segnato dal tempo, le lunghe mani affusolate, mentre ricama. Morirà nel 1954.

“Tu concluderai qualche cosa a questo mondo” aveva scritto anni prima al marito “e io sarò stata una sciocca gaudente che non ha mai saputo fare niente nella vita eccetto amare, ma quello molto bene”.

 

 Jolanda Leccese