Negli occhi della Gorgone

Il volto di Medusa nelle antefisse di Taranto

Museo Archeologico MARTA

Quando, per la prima volta, gli uomini divennero consapevoli del conflitto che li oppone alla necessità del reale, proiettarono il trauma di questa dura rivelazione nell’invenzione di eventi collocati in un passato assoluto.

Nascevano così i racconti mitici, storie spesso semplici che possono apparire elementari, reperti di epoche e mentalità primordiali ma che posseggono la prerogativa di riflettere un significato valido per ogni presente. “Quando ripetiamo un gesto, un prodigio mitico, un nome proprio che appartiene al racconto mitico, esprimiamo un fatto sintetico e comprensivo, un midollo di realtà che vivifica e nutre tutto un organismo di passione, di stato umano, tutto un complesso concettuale”. Così scrive Cesare Pavese nella prefazione ai Dialoghi con Leucò.

Certo il modello puro del mito, la genuinità dell’archetipo per noi è ormai irraggiungibile: il mito è un materiale della letteratura, fissato nella memoria grazie alle parole dei poeti oppure attraverso la mediazione di studiosi, filologi, antropologi, archeologi.

Anche i documenti materiali, pur possedendo codici e percorsi autonomi rispetto alle fonti letterarie, possono offrire, se ben indagati, un patrimonio di informazioni sul materiale mitico, contribuire alla formulazione di interpretazioni per intenderne il senso profondo.

È in questa prospettiva che ci sembra utile segnalare una mostra, in corso per tutta l’estate a Taranto presso il Museo Archeologico MARTA, dal titolo molto intrigante Negli occhi della Gorgone. Curata dalle archeologhe Gaetana Abruzzese e Amelia D’Amicis e coordinata dalla direttrice del Museo, Antonietta Dell’Aglio (un’equipe tutta al femminile), questa mostra rappresenta un esempio orientato a valorizzare reperti mai visti provenienti dai depositi del Museo ma anche a far scoprire (o a ritrovare) le meraviglie di un racconto mitico dominato dal tema del divenire e della metamorfosi.

Il racconto di Medusa, detta Gorgone, mostro orrendo che pietrificava con lo sguardo chiunque osasse guardala. Le curatrici lo presentano attraverso una ricca documentazione di antefisse, terrecotte architettoniche,che portavano impresso il volto di Medusa e che, poste sui tetti, lungo le linee di gronda, avevano la funzione di proteggere dalle influenze maligne.

È un racconto che ci porta lontano, in un mondo tenebroso popolato di mostri.

C’è un mostro e c’è un eroe. La posta in gioco è l’uccisione del mostro per volere di una divinità adirata. Il mostro è Medusa, essere infernale dalla natura ibrida: donna ma anche creatura animalesca con mani di bronzo, denti di cinghiale, serpenti avvinghiati intorno alla testa.

Vive, unica mortale di tre sorelle, nell’estremo Occidente, al di là di Oceano, là dove la notte regna sovrana. Possiede un terribile potere: pietrificare con lo sguardo chiunque osi guardala.

Sarà Perseo, il figlio di Zeus, l’esecutore materiale della vendetta della dea Atena che, per usare un termine caro a J. Propp, è l’attante della vicenda. Essa gli fornisce uno scudo lucente su cui guardare l’immagine riflessa del mostro senza incontrarne lo sguardo. Medusa sarà decapitata ma la sua testa recisa, fissata sullo scudo della dea, continuerà ad esercitare il suo terribile potere pietrificando i nemici della divinità.

Un racconto avvincente e tenebroso che si impone con tutta l’energia simbolica dell’evento mitico, la sua prerogativa, cioè, di riflettere un significato valido per ogni presente.

Perseo che uccide la Gorgone vincendo la paura dell’ignoto attraverso il coraggio e la riflessione, sarà considerato, nei secoli, come garante di giustizia, simbolo della vittoria sul male.

Varia e numerosa la serie delle antefisse presentate in mostra. Una sfilata di volti che restituisce al visitatore l’immagine della Gorgone, le sue caratteristiche somatiche, i suoi attributi specifici. Ne sollecita certamente una lettura emozionale, ma anche curiosità e domande davanti al variegato mutarsi dei codici iconografici del volto di Medusa: da mostro orribile, anguicrinita, con lingua penzolante, a creatura umanizzata con atteggiamenti spesso solenni.

Una mostra, questa, dal solido impianto metodologico che si avvale anche del confronto con opere di artisti e scultori per i quali questo mito è stato fonte di ispirazione: da Bernini a Caravaggio che, rifacendosi al testo delle Metamorfosi di Ovidio, offre un’interpretazione impressionante e drammatica della trasformazione della donna in Medusa (Ovidio ne parla come di una fanciulla bellissima tramutata in mostro da Atena).

Interessante il riferimento ai testi di mitografi antichi e a quelli di poeti e scrittori. Riportato anche in un catalogo, godibile dalla prima all’ultima pagine (ed. Scorpione), agevola il confronto tra le diverse versioni del mito, ne evidenzia la prodigiosa fertilità artistica corredandolo di dettagli inattesi.

Tra gli autori citati, così scrive Calvino “In certi momenti mi sembrava che il mondo stesse diventando tutto di pietra: una lenta pietrificazione…che non risparmiava nessun aspetto della vita. Era come se nessuno potesse sfuggire allo sguardo inesorabile della Medusa”.

Ecco, qui c’è l’uomo che, adeguandosi alla prospettiva tutta umana del mito, narra se stesso, la sua storia e quella della collettività. In questo consiste l’esemplarità intrinseca al mito.

 

Jolanda Leccese