ARACNE

Storia di una donna orgogliosa trasformata in ragno

Un apologo, sempre attuale, sui rapporti fra arte e potere

Ovidio racconta

Metamorfosi, VI vv. 1-145

Quando si vede una ragno tessere laboriosamente la sua tela, non accade, forse, a molti, di riandare con il pensiero ad un racconto narrato per la prima volta nelle Metamorfosi di Ovidio; di associarlo ad una donna meravigliosamente intelligente ed abile, che desiderò essere conosciuta e riconosciuta per i suoi meriti, ma destinata, purtroppo, a diventare ragno.

Aracne il suo nome: un nome che Ovidio ha consegnato alla cultura europea narrandolo nel VI libro delle Metamorfosi (vv. 1-145).

Abilissima tessitrice, aveva ottenuto notevole rinomanza nelle città della Lidia benché abitasse la piccola città di Ipepe; la sua straordinaria maestria nel trattare la lana, nell’intrecciare sapientemente i fili e i colori, faceva ritenere a tutti che essa avesse appreso l’arte della tessitura dalla stessa Minerva: la divinità dei lavori femminili per eccellenza. Ma lei, inorgoglita da simili lodi, rifiutava sdegnosamente di riconoscere la dea come maestra, anzi la provocava. “Venga a misurarsi con me”, diceva, “se sarò vinta farò quel che lei vorrà” (v. 25).

La dea, allora, si traveste da vecchia per farle visita e invitarla a desistere dalla sfida. Aracne non intende ragione, anzi insulta la visitatrice che subito si rivela per quella che è, la dea Minerva in persona che accetta la sfida propostale.

Subito tutte e due si danno da fare; si appartano e, per liberare le abili braccia, si raccolgono le vesti sul petto, con un impegno che non fa sentire la fatica. Minerva realizza un arazzo sul quale figurano le divinità olimpiche secondo principi di gerarchia, solennità e decoro. C’è Giove, in veste di sovrano, al centro, ma a dominare su tutti è l’immagine di lei, di Minerva, CECROPIA PALLAS.

Eccola nella sua augusta gravitas, vincitrice nell’antica contesa con Poseidone per il controllo di Atene: possente nella sua armatura completa (scudo, lancia, elmo, egida), mentre fa spuntare dalla terra dell’Attica, percossa con la sua lancia, l’ulivo argenteo. Eccola presentarsi, lei, divinità tutelare delle attività femminili ma, al tempo stesso, come dea virile, amante della guerra e delle armi (“belli metuenda virago”). Un esplicito avvertimento alla sfidante.

Anche Aracne sceglie gli dei come soggetto, ma ne rappresenta tutte le malefatte, contrapponendo un quadro aggressivo e polemico: Giove che rapisce Europa in veste di toro, che, come aquila, afferra Asterie, che copre Leda con le ali di cigno. E ancora Nettuno, Apollo, Bacco, Saturno, tutti in preda ad uno scomposto irrefrenabile erotismo mentre esercitano la loro violenza a danno di innocenti donne mortali (vv. 103-128). Un irridente catalogo di Leporello, animato da una sarcastica polemica anti-teologica, come lo definisce il latinista e filologo Giampiero Rosati, tra i più noti e raffinati studiosi di Ovidio.

La dea termina la sua tela con rami d’ulivo, simbolo della pace, “circuit extremas oleis pacalibus oras” (pacalis, un hapax in Ovidio, v. 101), ma non dimentica di rappresentare, in quattro sfide, la sorte di mortali colpevoli di arroganza nei suoi confronti. Ancora un esplicito avvertimento alla sfidante.

Aracne, pur non sconfitta nel confronto, dovrà subire la punizione della dea che la trasforma in ragno, ma la sua figura riaffiorerà in varie fasi della cultura europea e in artisti diversi (Dante e Velázquez), come figura dell’artista orgoglioso e consapevole, mortificato nelle sue ambizioni dalla brutale vendetta del potere.

Antonio Carneo “Aracne tesse la tela”, olio su tela, 1660, collezione d’arte Unicredito, Bologna.

È raffigurato il momento in cui Aracne ribadisce la sua orgogliosa sfida verso la dea rivolgendo sprezzanti parole nei confronti dell’anziana visitatrice. La composizione è dominata dall’imponente mole del telaio, oggetto della rivincita sociale dell’umile Aracne, ma anche causa della sua imminente sventura. Sul cartamodello, in primo piano, è possibile riconoscere “Europa sul toro” uno di quegli amori sconvenienti che la giovane ha scelto come soggetto per la sfida.

Diego Velázquez “Le filatrici (La favola di Aracne)”, olio su tela, 1657 circa, Museo del Prado, Madrid.

La scena presenta un’impostazione di stampo teatrale culminante nell’arazzo sullo sfondo che raffigura il ratto di Europa, esplicito riferimento al dipinto di Tiziano.

Francesco del Cossa “Trionfo di Minerva”,  affresco, Palazzo Schifanoia, Ferrara.