OVIDIO RACCONTA

L’Orsa Maggiore e la triste storia di CallistoMetamorfosi, II 401-539                                                                     Pubblicato su Leggere Donna n°197 La recente edizione dei Millenni Enaudi del 2022 (con nuova introduzione e commento aggiornato di un volume della Pleiade del 2000) può costituire occasione per disporsi se non ad una “lectura perpetua” dei dodicimila esametri del poema, a quella di singole storie (tra le 250), ciascuna avvincente in sé per il suo contenuto e per il modo nel quale viene raccontata. Storie in cui è la metamorfosi il centro intorno al quale gravita la materia narrativa. E se nel gioco delle forme gli dei assumono gli aspetti più svariati, anche gli esseri umani subiscono trasformazioni per intervento divino. Le variazioni sul tema sono innumerevoli ed ogni racconto esplora a suo modo le circostanze straordinarie in cui l’intervento divino ha plasmato il reale delineando in parte i contorni del mondo: del paesaggio terrestre come della sfera animale e di quella vegetale. Anche nella volta celeste gli dei sono soliti operare metamorfosi per iscrivervi il destino di creature d’eccezione o vicende esemplari. Ecco l’Orsa Maggiore che racconta la triste storia di Callisto: la vergine arcade, la Nonacrina (401), da Nonacre, città dell’Arcadia. La bellissima ninfa, seguace di Diana, violata da un ingannevole Giove, il latin lover per eccellenza dell’Olimpo, che, per avvicinarla, assume le sembianze della dea della caccia. Callisto, dopo aver subito violenza, si riunisce alle compagne e alla dea; ma la sua prossima maternità viene scoperta e Callisto, cacciata, partorisce in solitudine. A questo punto interviene la solita gelosissima Giunone che mal sopporta di veder nascere un altro figlio dal consorte e trasforma la malcapitata in una irsuta orsa, priva di quella bellezza che aveva incantato il marito. “Ti toglierò quella bellezza che ti lusinga e grazie alla quale hai la sfrontatezza di piacere a mio marito. Così dicendo si parò dinanzi a lei, le afferrò un ciuffo di capelli sulla fronte e la costrinse a piegarsi verso terra” (474-477). Così ci racconta l’episodio Ovidio (401-539) che poi si sofferma sullo strazio della povera vittima nel suo inutile tentativo di tornare nei luoghi della sua vita precedente, sulle sue paure e sul dramma sfiorato quando il figlio Arcade, che nulla sa della madre, sta per trafiggerle il petto con una freccia (504). Sarà Giove ad evitare un inconsapevole matricidio “sollevando i due sulle ali del vento li porta in cielo e ne fa due costellazioni vicine” (506-507): l’ORSA MAGGIORE e quella di BOOTE. Un “catasterismo”, come dicevano gli antichi, una trasformazione in stella. Ce ne sono soltanto altre tre nelle Metamorfosi: Cesare che viene trasformato in “astro Giulio”, la cometa di Cesare; la ghirlanda di Arianna che diventa la costellazione dell’aurora boreale; e, soltanto suggerita, la metamorfosi di Ercole.Ma la vicenda di Callisto ancora non ha termine. Giunone, indispettita ancora di più, ottiene da Oceano e Teti che le sia negata la possibilità di tramontare sull’orizzonte “affinché la paelex, la concubina, non possa mai bagnarsi nelle vostre pure acque” (529-530). Poco attestato nella tradizione figurativa di età ellenistico-romana, il mito troverà una produzione più ricca in età rinascimentale e barocca (“Diana e Callisto sono versioni del mito presenti anche nelle opere di Rubens e Tiziano). Ecco Callisto, in una oinochoe (chous apulo) vicina al gruppo del Pittore della Furia Nera, del Paul Getty Museum, 360 a.C. circa. È sola, seduta su una roccia allusivamente ricoperta da una pelliccia, quasi stretta fra due alberelli che la incorniciano isolandola dal contesto, nel momento in cui si accorge dell’inizio della terribile trasformazione del suo corpo in una scena di estremo pathos. L’evento prodigioso avviene esattamente come lo descrive Ovidio: “le braccia cominciarono a ricoprirsi di peli neri ed irti, le mani si incurvarono, fungendo da piedi forniti di lunghe unghie adunche” (478-481). Sulla destra la figura del bambino, destinato alla fine a divenire una costellazione accanto alla madre. Una scena estremamente importante dal punto di vista narrativo perché illustra un momento non presente in Ovidio (citato da Pausania, VIII): quello in cui il piccolo Arcade, figlio della colpa, viene prelevato da Hermes. Eccola ancora trascinata a terra per i capelli da Giunone, in una sorprendente serie di stucchi nel Camerino di Callisto (1537/39) a Palazzo Grimani a Venezia. La trama si sviluppa in una narrazione completa ad opera di Giovanni da Udine: dalla seduzione di Giove, alla scena del bagno con la scoperta della colpa, alla crudele punizione inflitta alla ninfa dalla gelosa Giunone, al momento della caccia di Arcade. Il tutto culmina nel riquadro centrale in cui madre e figlio sono trasportati in cielo sotto forma di stelle.

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